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Il commercio parla mandarino

Le attività cinesi in provincia sono 173. 82 i negozi di abbigliamento e 37 di casalinghi

Siracusa, 23/10/2014

Più chiuso di un pugno serrato, il mondo del commercio cinese a Siracusa offre ogni tanto piccoli spaccati di conoscenza, difficili da ottenere se non scarpinando in uno dei tanti negozi che a velocità impressionante spuntano sul territorio. I numeri in città delle attività cinesi sono alti, e li scremiamo grazie all'aiuto del segretario generale della Camera di Commercio di Siracusa, Roberto Cappellani, prendendo come parametro solo i proprietari e gestori nati in Cina.

Le attività sono 173, 111 in provincia e 62 in città. Gli ambulanti sono 37, mentre sono 82 le attività di abbigliamento. I negozi di articoli per la casa sono 37. Numeri particolari riguardano 2 attività: una offre servizi di consulenza estera, mentre per la somministrazione di alimentazione, i proprietari sono soltanto 6. Una società fa promozione fotovoltaica e un'altra offre servizi di diving. Ma a suscitare clamore in città, negli ultimi giorni, è stata la nascita di un altro nuovo centro commerciale cinese, in via Columba, che ha preso il posto dello storico negozio di legname che vi aveva sede da anni.

Su Facebook c'è stata l'alzata di scudi di chi ritiene che si tratti di una vera e propria invasione dall'Oriente, ma anche la presa di coscienza di chi riconosce che il mercato è libero e non si possono creare argini immotivati. Cavallo di battaglia di alcuni è il sospetto che qualcosa non quadri dal punto di vista delle tasse. «Inevitabile - dice un commercialista aretuseo - ma il fenomeno dell'evasione non ha nazionalità: è possibile tra i cinesi così come tra i siracusani. Generalmente però si tratta di società di capitali costituite nel territorio nazionale, e quindi soggette alle imposte previste per tutti». Le società spesso dispongono di grandi quantità di denaro liquido: «Tirano fuori i soldi cash senza problemi - racconta un siracusano che ha dato in affitto alcuni bassi - e davanti a 3.000 euro al mese, o a 10.000 di affitto per le grandi strutture, spesso anticipati per diversi mesi, ci si sta al volo».

Quindi grandi cifre per "accaparrarsi" gli spazi, ma poi materiale venduto a cifre spesso irrisorie. «Ci sono dei grandi centri di distribuzione che favoriscono queste attività extracomunitarie - spiega Arturo Linguanti, presidente di Confesercenti - fornendo la merce in fiducia in prima battuta, consentendo di pagare comodamente man mano che si vende. Questo crea la nascita di centinaia di punti vendita i cui proprietari non hanno rischi, ma solo utili».

C'è chi, come il presidente della Confcommercio, Sandro Romano, affronta invece l'aspetto della salute, sostenendo che «la cronaca è ricca di sequestri di oggetti contraffatti o realizzati con materiali non a norma. Il fenomeno del mercato cinese si basa sulla povertà della popolazione, che si getta su prodotti a prezzi stracciati per far fronte alla crisi economica imperante in questo periodo. I clienti spesso sono coloro che prima compravano il profumo taroccato alla fiera, e adesso lo compra taroccato da loro. Che dire allora dei dipendenti di questi posti, spesso italiani, che lavorano sottopagati fino a 60 ore settimanali? Ma è un problema sul quale dovrebbero intervenire i sindacati». Fuori dal più nuovo dei centri cinesi, una signora afferma che «non è che costano meno, è che sembra di fregarli un po' sul prezzo», mentre un ragazzino che tra gli scaffali chiedeva all'amico se esistessero piercing «in questo posto», si è visto materializzare alle spalle un commesso cinese in infradito. Con tra le mani quattro piercing di fogge diverse, prima ancora che gli venissero chiesti. La Cina avrà lo sguardo lungo, ma anche l'udito non scherza.

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